Secondo il codice civile (art. 769) la donazione è un contratto con il quale una parte (il donante) per spirito di liberalità (per generosità) arricchisce l’altra (colui che riceve la donazione, ovvero il donatario) disponendo a favore di questo di un suo diritto (ad esempio trasferendogli la proprietà di una somma di denaro) o assumendo verso la stessa un’obbligazione (ad esempio impegnandosi a pagare una somma di denaro dovuta dal donatario ad un terzo).
L’art 782, inoltre, ci insegna che la donazione deve essere fatta per atto pubblico: in assenza di atto pubblico la norma prevede la nullità: la donazione è invalida, la legge non la riconosce, è come se non fosse mai esistita; è inoltre prevista l’assistenza di due testimoni, aventi la capacità di agire, maggiorenni, residenti in Italia, non interessati all’atto di donazione.
L’art. 783 precisa che non occorre l’atto pubblico di donazione quando la donazione è “di modico valore”, “modicità” che deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante.
Veniamo al dunque, tentando di dare risposte adeguate alle domande che più frequentemente vengono rivolte al notaio per questo genere di attività.
La risposta è, in larga parte, già scritta nella norma: occorre tener conto delle capacità economiche del donante. Per un ricchissimo imprenditore 100.000 euro possono essere un “modico valore”, se il patrimonio è di 50 milioni di euro. Se il patrimonio del donante è di 200.000 euro, evidentemente il discorso è diverso. L’argomento però è spinoso: poiché l’art 782 prevede l’atto pubblico a pena di nullità, se il trasferimento del denaro viene semplicemente eseguito mediante un bonifico bancario, c’è il rischio che l’operazione venga “rimessa in discussione”, magari ad iniziativa di chi si assume danneggiato dalla donazione priva dei requisiti di forma previsti dal codice civile. Questo principio (la necessità dell’atto pubblico per una corretta donazione) è stato recentemente riaffermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017. Anche le banche, dopo questa sentenza, sconsigliano trasferimenti di denaro a titolo di donazione per somme rilevanti. Per intenderci: il regalo al figlio a Natale o per il compleanno, l’aiuto per comprare la prima automobile dopo aver ottenuto la patente, un aiuto per sostenere una spesa imprevista, ma per importi non molto elevati non richiede l’intervento del notaio, basta il bonifico.
L’imposta di donazione, che è disciplinata dal DPR 346/90, dipende dai rapporti di parentela tra il donante ed il donatario (la stragrande maggioranza delle donazioni di denaro riguardano genitori e figli, fratelli e sorelle, al più zii e nipoti) e la legge prevede delle esenzioni (in gergo si parla di “franchigie”) che dipendono dal rapporto di parentela e dalla somma donata.
Nella prassi, il donante consegna al donatario un assegno circolare, al momento del rogito davanti al notaio. E’ preferibile evitare l’assegno bancario (che è un titolo di credito che contiene ordine di pagamento impartito alla propria banca) per possibili dubbi sulla effettività del trasferimento della somma. Altro frequentissimo strumento utilizzato è il bonifico. Il tutto, nel rispetto della normativa che limita l’uso del denaro contante.
L’arricchimento del donatario si può attuare in varie forme, che sono le più ricorrenti, e che non si realizzano attraverso l’atto pubblico di donazione. Si può fare un prestito al proprio figlio e poi rinunciare alla restituzione, oppure stipulare una polizza vita che ha come beneficiario un figlio, pagare un debito altrui, trasferire un bene ad un prezzo irrisorio, ecc. In questi casi, dal punto di vista dell’eredità, tutte queste donazioni “indirette” assumono rilevanza quando occorre dividere un’eredità o quando si deve stabilire se è stato leso il diritto di un legittimario a ricevere una giusta porzione del patrimonio (la famosa quota di legittima).