Tra i vari modi che ci sono per donare a qualcuno, c’è anche il ricorso ad una polizza di assicurazione sulla propria vita, in favore di un terzo. Si paga un premio alla Compagnia, ed alla morte dello stipulante, la Compagnia liquiderà l’indennizzo alla terza persona indicata nella polizza.
In linguaggio giuridico si parla di “donazioni indirette”, o di “liberalità non donative”, o ancora di “donazioni atipiche”. Questi contratti di assicurazione sulla vita presentano anche un vantaggio fiscale: il beneficiario della polizza non riceve una eredità dal defunto, ma ha diritto ad una somma di denaro direttamente nei confronti della Compagnia assicurativa. Il risultato è che le somme erogate dalla Compagnia in base al contratto non sono tassate come un’eredità.
Quando il beneficiario della polizza è un terzo (non un erede, o magari uno solo dei tanti eredi), e quando chi ha sottoscritto la polizza è un soggetto in età avanzata e/o non in perfette condizioni di salute, agli eredi può venire la tentazione di impugnare il contratto di assicurazione (per annullamento derivante da un vizio della volontà) e chiedere la restituzione della somma versata dal defunto, col risultato di annullare il beneficio economico per il terzo.
È anche possibile che la stipula del contratto di assicurazione sulla vita a favore di un terzo leda il diritto dei legittimari (cioè del coniuge, dei figli, ed in assenza di questi ultimi, dei genitori) a ricevere una parte dell’eredità: in questo caso si può agire con l’azione di riduzione e la richiesta di restituzione della somma nei confronti del terzo.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17790 dell’8 settembre 2015, ha considerato legittimo il rifiuto della Compagnia di assicurazione di indicare agli eredi i beneficiari della polizza stipulata dal defunto, interpretando in questo modo l’art. 9 del Decreto Legislativo 196/2003 (la famosa legge sulla privacy).
È una decisione opinabile, forse non proprio del tutto convincente, ma – questo va sottolineato – i giudici rispondono alle domande a loro rivolte (accogliendole o respingendole) e non possono pronunciarsi in assenza di domande specifiche.